To lead or not to lead?
Il mistero della leadership, vexata quaestio. Molti formatori, da qualche anno a questa parte, nell'affrontare i temi gestionali e comportamentali, cercano spunti di riflessione e risposte nella letteratura, nel cinema, nelle favole, costruendo quello che ormai è¨ l'ambito dello Humanistic Management.
Uno degli autori più vicini ai temi manageriali è Shakespeare. Le sue opere presentano, al centro della vicenda, l'ascesa e la caduta di un personaggio centrale impegnato nella conquista di un regno, ed offrono lezioni sulle modalità con cui i leader organizzavano la loro ascesa e su come i loro fallimenti ne acceleravano la caduta.
Sono storie che raccontano di leadership.
Nei testi di Shakespeare spesso ci si chiede chi è la persona più qualificata per gestire sia i privilegi sia le responsabilità dei ruoli di comando: da questo punto di vista, l'Amleto è esemplare.
Numerosi personaggi reclamano leadership ed il diritto al trono dei danesi: Amleto, Claudio, Laerte e Fortebraccio. Ognuno di loro prospetta un modello di leader diverso, fondato sul possesso di qualità specifiche: la tensione etica e la profondità di ragionamento analitico in Amleto, il freddo cinismo ben nascosto dall'ottima gestione delle relazioni in Claudio, la passionalità e il senso dell'onore in Laerte, il coraggio e la capacità realizzativa in Fortebraccio.
Amleto, il Filosofo analitico
Amleto è il legittimo erede al trono, ma si dibatte fra gravi difficoltà determinate dal suo essere essenzialmente portato all'astrazione ed alla poesia, mentre invece si trova coinvolto in una situazione che richiede senso pratico e sangue freddo. Eppure, come leader ha sicuramente dei punti forti: è bello, è colto, è un raffinato analista, è amato dal popolo, ha quindi carisma. Non da ultimo, è dotato di "pensiero laterale", come dimostra la trovata ingegnosa della messa in scena che svela le colpe di Claudio. Tuttavia, evidenzia delle lacune sul piano dell'efficienza e, nel confronto con la personalità del padre morto, si trova decisamente perdente. Questi limiti appaiono soprattutto nei celebri monologhi, in cui Amleto si arrovella senza mai risolversi all'azione; e anche quando l'occasione sembra presentarsi favorevolmente, la manca, come accade nel momento in cui, ormai certo della colpevolezza di Claudio, pur sorprendendolo inerme, ne rimanda l'uccisione.
Ciò che Shakespeare mette in evidenza è il lato oscuro del potere. Amleto è un giovane principe di eccezionale intelligenza e sensibilità : ma, ci dice Shakespeare, il potere assoluto richiede la capacità di commettere azioni che spesso sono difficilissime da compiere. Per Amleto, la scoperta di questa verità è dolorosa e tutta la sua vicenda interiore può anche essere letta come un continuo evitare il lato oscuro del potere, un tentativo disperato di raccogliere prove della sua irrealtà , un esitare terrificato di fronte ad esso.
Claudio, il politico cinico
Ma se la rettitudine di Amleto non porta a una leadership convincente, certo il cinico antagonista Claudio risulta ugualmente inadatto al ruolo di re. Egli non solo usurpa il titolo con mezzi illegittimi, ma dimostra anche una accentuata propensione al bere e alla lussuria: non possiede inoltre l'autorevolezza del fratello più anziano da lui assassinato. In compenso, è eccezionalmente abile nel manipolare le situazioni, placare gli animi, prendere e far prendere agli altri decisioni a lui favorevoli: tanto che alcuni critici stimano Claudio molto più indicato per il ruolo di sovrano rispetto al legittimo erede Amleto.
Di questo avviso non è però Shakespeare, che lo condanna innanzitutto per la mancanza di reali scrupoli morali, il totale egoismo, il disinteresse nel perseguire fini superiori. Ciò che conduce veramente alla rovina Claudio è il considerare le persone solo come oggetti, strumenti di cui servirsi. La conseguenza è l'incapacità di scegliere validi collaboratori. Personaggi minori come Gertrude, Rosencrantz, Guildenstern sono le persone di cui ama circondarsi. Egli le plagia a suo piacimento senza rendersi conto che non possono offrire contributi di pensiero critico e quindi valore aggiunto. Il massimo grado di abiezione e servilismo è rappresentato dal più fido consigliere di Claudio, dal suo "Direttore del Personale", Polonio. Certo non è, insomma, il campione di una classe dirigente in grado di sorreggere, integrandolo e correggendolo, il dominio del sovrano! Ed è lo stile di leadership di Claudio, come da molti manager di oggi, a impedire la crescita di persone che lo aiutino a operare, pur sapendo mantenere la necessaria dualità dei ruoli di capo, da una parte, e collaboratore, dall'altra.
Laerte, l'ingenuo impulsivo
Con un consigliere come Polonio, la sorte di Claudio è segnata, così come lo è quella di Laerte. Eppure, dopo la morte del padre, si conquista le simpatie del pubblico e ha la possibilità, uccidendo Claudio, di realizzare una vendetta che lo potrebbe portare sul trono. Tuttavia fallisce, anche se non è privo di qualità. Pur essendo un cortigiano in erba, infatti, non dimostra il servilismo del padre: è inoltre orgoglioso, sincero e rispettoso del codice d'onore. Ma è anche un impulsivo e finisce per farsi coinvolgere nelle criminali macchinazioni rivolte contro Amleto. Istigato da Claudio, Laerte arriva persino ad accettare il trucco meschino della spada avvelenata, di cui del resto, per contrappasso, rimarrà vittima.
E' dunque l'ingenuità il punto debole di Laerte, assieme alla maniera disordinata con cui vive la propria passione per le forme più esteriori dell'onore. Egli è una vittima delle proprie illusioni, si muove sulla superïficie, non presta attenzione ai dettagli, cambia continuamente idea e piano di azione, laddove il buon leader sa predisporre con cura tutto ciò che può consentirgli il successo, cercando di prevenire ogni ostacolo, pur preservandosi ampi spazi di manovra da utilizzare con la massima flessibilità. Laerte è a suo modo un innocente come la sorella (il nome Ofelia deriva da una parola greca che significa appunto "senza colpa") che, nel confronto con la dura realtà del potere, impazzisce: in definitiva può essere paragonato, come fa Polonio all'inizio della tragedia parlando di Ofelia, a un uccello caduto in una trappola predisposta da cacciatori molto più abili e smaliziati.
Fortebraccio, il guerriero coraggioso
L'analisi shakespeariana giunge così alla conclusione che l'unico modello possibile di sovrano è quello rappresentato dalla figura di Fortebraccio. Il principe di Norvegia è un corretto, ambizioso uomo militare, che nella tragedia appare solo tre volte.
Sembra che il principale ruolo di Fortebraccio sia quello di evidenziare, per contrasto, i tratti della sovranità e della leadership che mancano ad Amleto. Come Amleto, infatti, Fortebraccio è il nipote di un sovrano regnante, ma, diversamente dal danese, va in cerca di nuove conquiste, cui si dedica con determinazione, energia ed entusiasmo, riuscendo a ottenere una rapida vittoria sui polacchi.
In definitiva, il totale ripiegamento su se stessi è un difetto imputabile a Claudio (sotto forma di egocentrismo), Amleto (come esasperata tendenza all'ntrospezione), Laerte (sopraffatto dai propri confusi ideali).
Non è però una caratteristica di Fortebraccio, la cui apertura al mondo si esplica in una abilità realizzativa, per la quale, secondo Shakespeare è forse lui, se non il migliore, il meno peggiore dei sovrani possibili.
Detto ciò, anche lui ha dei punti deboli: per esempio, è del tutto incapace di comprendere i sentimenti degli altri. Tale incapacità emerge nelle battute finali, quando Fortebraccio ordina che per Amleto siano disposti funerali militari, davvero molto lontani dai desideri e dalla personalità del principe danese!
Un leader che deve imparare ad ascoltare, dunque, e che, come tutti i leader, non deve mai smettere di crescere e aver voglia di migliorare.
Bisognerà aspettare di leggere l'Enrico V per avere in scena l'unico leader eroico e di successo che Shakespeare abbia mai creato: un leader che raggiunge il successo perché non è un eroe a una sola dimensione, ma un uomo che si rende conto che per diventare un buon re deve imparare il modo per esserlo. Un leader che, per riuscirci, sa di non aver bisogno di guardare agli altri re, ma di rivolgersi ai suoi futuri sudditi.